lunedì 29 luglio 2013

Una Colazione senza Tempo...




"Alle 5 del mattino del 2 ottobre 1960, Holly Golightly cammina per la Quinta Strada in una New York deserta, con gli occhiali da sole scuri e un abito di Givenchy destinato a diventare leggendario: è così che inizia Colazione da Tiffany ed è con questa scena che si apre una nuova era per la società americana (e non solo). Sam Wasson racconta la nascita, la realizzazione e le conseguenze di un film unico. Svela le avventure rocambolesche che sceneggiatore, regista, attori e produttori hanno dovuto affrontare per portare a termine una lavorazione piena di imprevisti; i trucchi messi in atto per passare illesi (o quasi) tra le maglie della censura e le intuizioni geniali che hanno permesso al film di superare un’accoglienza diffidente, di fare breccia nei cuori degli spettatori e di diventare un vero classico. Tutto parte dalla storia di una giovane comparsa che diventa un’icona di stile: Audrey Hepburn, con la sua grazia, riesce a guadagnarsi la fiducia di un pubblico eterogeneo e a conquistare mariti, mogli, genitori e figli.
Nel momento in cui la società si sente soffocata nei vecchi panni del primo dopoguerra e scalpita aspettando un cambiamento, Audrey e
Colazione da Tiffany propongono un cinema diverso, una moda nuova e uno stile di vita libero da polverosi moralismi (e in cui il sesso non è più né un tabù né una condanna!).
L’autore ripercorre la storia del film, i retroscena più significativi ma anche le sfumature più segrete: Marilyn Monroe che si sfila le scarpe per ballare con Truman Capote, Billy Wilder che si nasconde in un armadio, Givenchy che pensa di parlare con la Hepburn sbagliata, Blake Edwards che organizza una festa per girare la scena di una festa e
Moon River che rischia di non entrare nel film... salvo poi far risplendere Colazione da Tiffany alla notte degli Oscar."
http://rizzoli.rcslibri.corriere.it/libro/4913_colazione_con_audrey_wasson.htm

giovedì 25 luglio 2013

LO SGUARDO DEL GUSTO

Magritte


I nostri occhi di carne sono già molto più che recettori dei raggi luminosi, dei colori e delle linee: sono computer del mondo, che hanno il dono del visibile.”
M. Merleau Ponty

venerdì 12 luglio 2013

La Lentezza del ThinkingFood

"La cucina è diventata arte grazie a una continua elaborazione, alla mescolanza di passato e futuro, qui e altrove, crudo e cotto, salato e dolce, e può continuare a vivere solo liberandosi dall'ossessione di chi non vuole morie."
M. Barbery, Estasi culinarie



Il cibo appartiene alla nostra vita quasi fosse un postulato del nostro abitare quel tempo che chiamiamo esistenza. 
Materia prima che ci nutre, ci appassiona, ci consola. 
Un tavolo imbandito è un patrimonio comune alla memoria di ognuno insieme ai sorrisi o alle parole a volte appuntite come lame, che in silenzio quello stesso tavolo conserverà per il resto dei suoi giorni. 
Rito del quotidiano, diritto/dovere fisiologico, divertissement sociale, il cibo e i gesti della composizione culinaria sono diventati ormai soggetto di una vera e propria overdose mediatica.
Tutti mastichiamo le parole dell'alta cucina e dell'elevata arte del degustare. Ognuno ha assaggiato il piacere sottile di stringere tra le dita il calice forbito di sostantivi e verbi lussureggianti e, appoggiandolo alle labbra, lo ha poi pasteggiato con lentezza destando la cortese invidia degli altri commensali.
Da abitudine domestica sottovalutata e screditata, la cucina è dunque diventato uno vero e proprio status sociale di primo ordine, recuperando così la sua originaria significazione di luogo di arte e di cura.
Ogni arte pretende tempo. Ogni opera nasce dall'unione sublime della materia e con l'immagine della sua metamorfosi. Ogni parola è muta senza il cesello di un lento pensiero.
La grande cucina, afferma la Barbery, ha bisogno di erosione ed oblio, perchè anche il calice più invidiato può sempre scheggiarsi se poggiato su una bocca troppo piena.
La radice del mondo del Food è la lentezza delle dita che sfiorano la materia della quotidianità per trasformarla nell'immagine dell'attimo e della sua infinitezza.
Buona lentezza, da ThinkerFood




 
 

giovedì 11 luglio 2013

La spiritualità del Gusto

Un brano donatomi da una cara amica. Parole per un'etica del Gusto: 

"Gli animali si nutrono, l'uomo mangia, solo l'uomo di spirito sa pranzare. Ho tra le mani la prima edizione (1825) della “Fisiologia del gusto”, l'opera più nota dello scrittore francese Anthelme Brillat-Savarin (1755-1826), un magistrato che, però, aveva la passione tutta francese (e italiana) della cucina. Ma il suo non è un ricettario, proprio perché egli è consapevole della verità della frase che abbiamo citato e che è da lui considerata quasi come un motto. L'animale infatti cerca il cibo per nutrirsi; l'uomo distratto e preso da troppe cose esteriori ha tempo solo per mangiare, possibilmente in modo veloce ed essenziale. Soltanto "l'uomo di spirito" sa gustare un cibo, nella serenità della mensa, con le giuste pause, assaporando le pietanze. In questo senso e non nell'accezione materialistica ben nota aveva ragione il filosofo Ludwig Feuerbach quando scriveva che der Mensch ist was er isst, l'uomo è ciò che mangia. Facciamo a questo punto due considerazioni. Tutte le grandi culture hanno collegato al cibarsi umano un significato di comunione (si pensi anche alla stessa eucaristia che è una "santa cena"). Il pranzo dovrebbe essere occasione di fraternità e di dialogo, cosa che certo non si compie quando in famiglia si ha il televisore acceso e si è pronti a fuggire per farsi i fatti propri. C'è, però, da ricordare che nel mondo ci sono milioni di persone che sono costrette ad essere come animali : la miseria le spinge a vagare in cerca di cibo, azzuffandosi e alla fine azzannando qualcosa per sopravvivere. Perciò, quando mangi o pranzi da persona civile, non puoi del tutto ignorare chi non riesce neppure a nutrirsi."
                                                                                                          G.Ravasi

venerdì 5 luglio 2013

LA PRATICA DELLA PAROLA

"Ho assaporato con gusto le parole, già, le parole scaturite da un incontro tra fratelli di campagna, certe parole che talvolta dilettano più dei piaceri della carne. Le parole: scrigni che raccolgono una realtà isolata e la trasformano in un momento da antologia; maghi che mutano la faccia della realtà, la impreziosiscono al punto di renderla memorabile e le offrono un posto nella biblioteca dei ricordi. Ogni esistenza è tale grazie al rapporto osmotico fra parola ed evento, in cui la prima riveste il secondo con l'abito della gala."
Muriel Barbery, Estasi culinarie


mercoledì 3 luglio 2013

PORTATA FILOSOFICA




"Le porte non sono state prese granchè in considerazione 
dalla speculazione filosofica. 
Eppure separano l'interno dall'esterno,
uniscono l'interno con l'esterno.



I.DAUTREMER

Come il mondo/tavolo di Hannah Arendt che separa ed unisce i commensali: esiste un mondo di cose tra coloro che lo hanno in comune, come un tavolo è posto tra quelli che vi siedono intorno:
il mondo, come in ogni in-fra (in-between),  mette in relazione e separa gli uomini nello stesso tempo".
 F.Rigotti, Il pensiero delle cose, Apogeo Edizioni. 

 Trovo magnifica questa immagine del mondo, come una porta o un tavolo, come uno spazio di chiusura o apertura tra NOI e L'ALTRO da NOI. Una tavola imbandita con i nostri pensieri, le nostre fedi, le nostre storie. Siamo questo:
commensali di un tempo e di uno spazio temporaneo, datoci in dono per scoprirne il sapore e il senso. E di solito ad un "CONVIVIO" dovremmo essere tutti amabilmente incuriositi da quei gusti e colori che non conosciamo, capaci di chiedere:
mi puoi passare un pò della fraganza di quel frammento di mondo che ti appartiene?  Sai non l'ho mai assaggiata. Ed invece cosa facciamo? Ci sediamo solo di fronte alla nostra portata...
e ignoriamo la scoperta e la condivisione di quella altrui.
Siamo, a volte,ingrati ospiti di un mondo imbandito per tutti e non solo per noi.

lunedì 1 luglio 2013

GUSTARE PER ESSERE

"Tutto il lusso del gusto è in questa scala; 
il fatto che la sensazione gustativa sia sottomessa al tempo, 
consente infatti di svilupparla come un racconto, o come un linguaggio: 
temporalizzato, il gusto conosce sorprese e sottigliezze; 
sono i profumi e le fragranze, costituiti in anticipo, 
se così si può dire, come ricordi."
 Barthes

 Tempo. Tutto è in fondo una questione di tempo. Linea o circolo, attimo o durata, giorni o anni. Non c'è una sola azione dell'uomo che non sia scandita dallo scorrere del tempo. Esso lascia segni e tracce di sè sulla pelle e nell'animo. Il tempo è ciò che scorre, ma soprattutto ciò che rimane ed ognuno ne è in fondo inconsapevole testimone, perchè siamo frutti di eredità feconde, che in noi ri-nascono diverse e nuove. Il tempo è una possibilità per nulla scontata. Esso scorre per tutti e rimane per pochi. Ecco perchè è un lusso. Cogliere il senso del tempo è una facoltà che richiede un lento esercizio di cura: è un'arte del gusto per la complessità di ogni istante. Gustare non significa semplicemente provare piacere. Il piacere passa, il gusto resta. Esso è infatti molto più che una sensazione. Il gusto è il sentimento consapevole del nostro essere nel tempo e in quanto tali del nostro essere possibilità aperte, trame dense e mai finite. Il gusto è l'ingrediente segreto della nostra identità.

sabato 29 giugno 2013

BIOGRAFIA DI UN FILOSOFO GOLOSO

La candida peferzione dell'iperuranio del pensiero filosofico può davvero mescolarsi all'attività materiale per eccelenza, ossia quella del del comune cibarsi, attività certamente umana ma così comune e così tanto sensoriale da apparire, agli occhi benpensanti e intellettualmente esperti, quasi come una terribile profanatrice delle razionali virtù? Il cibo può essere raccontato filosoficamente? Da queste domande nasce la sfida di ThinkerFood e dalla mia storia personale di Filosofo pratico. Ho avuto occasione di approfondire i diversi approcci metodologici di carattere psicologico in questi anni e ho portato a termine il mio percorso fino all'esame come psicologo per le organizzazioni e le comunità. Poi ho scelto che la mia "pratica" sarebbe stata assolutamente filosofica, pur custodendo le pratiche psicologiche come bagaglio formativo e conoscitivo . Perché? La pratica filosofica non fornisce al professionista teorie prestabilite, strumenti di scientifica certezza in cui le parole possano trovare un senso e i comportamenti ottenere successo. Il filosofo pratico non é una guida, non é un terapeuta, non é un programmatore del pensiero. Il filosofo pratico si occupa del valore del pensare e della sua potenzialità creativa, non si occupa dei processi mentali e delle loro leggi.Le pratiche filosofiche si occupano
 dell' ethos, delle conseguenze pratiche dell'attività del pensare, che non é mai giudicata giusta o sbagliata.Essa é solo fermata e sospesa al fine di essere veramente ascoltata e compresa. Il filosofo pratico potrebbe essere definito come un esperto dell' acustica del pensiero e delle note che lo compongono, le parole. É colui che crea la condizione dell' ascolto ragionato e opera sui ritmi delle parole e dei silenzi, nella convinzione che essi siano metafore non sempre consapevoli di un abitare il mondo. Egli genera insieme al consultante l'esperienza del colloquio, in cui il suo ruolo é quello non del solutore dei nodi interiori o relazionali. Egli non ha soluzioni, non ha chiavi per il successo. Nelle pratiche filosofiche non c'é un traguardo atteso, non si é orientati al risultato. La filosofia praticata é un'esperienza etica di consapevolezza in cui il fine é il vedere con chiarezza quanto il pensare sia sempre un gesto di vita. ThinkerFood è un progetto che nasce dalla passione per il pensiero e dalla ferma convinzione che la cura del proprio esserci parta dalla conoscenza tanto del corpo quanto della mente. Ascoltare il pensiero e fermalo è un gesto di cura anche quando si parla del cibo e del suo essere molto più che semplice materia. Esso è racconto di culture e di tradizioni. Opera di ingegno e di pensiero. Il cibo nasce tra le parole e le dita creative dell'uomo che cura il suo abitare il mondo.

domenica 23 giugno 2013

IL MORSO DI EVA

“Tre cose io trovo mirabili anzi quattro, che mai conoscerò:
la via dell'aquila addentro il cielo, la via del serpente sopra la rupe, la via della nave
nel cuore del mare, la via di un uomo in un corpo di donna”
(Proverbi 30, 18-19).
La Storia dell'uomo, la sua memoria e il suo tempo iniziano dopo la Creazione. Il soffio divino è anima, la terra è materia, il cielo è mondo. Ma qualcosa manca. L'uomo è un Io perfetto ma defettibile: è un eterno senza ritmo, è un cuore che non pulsa, un'epidermide che non vibra. E' bocca senza Verbo. Nella sua perfezione nulla sorprende, nulla emoziona, nulla tocca e sanguina. Nulla è mirabile perché tutto è evidente. Ma come in ogni opera d'arte che si rispetti, c'è nell'Incipit dell'ontologia dell'Uomo un secondo atto, un colpo di scena, l'Altra possibilità celata e rivoluzionaria. Il suo nome è Eva. Sinuosa forma, vibrante materia ricavata non dalla terra ma dalla carne stessa del suo Uomo, Eva è creata per trasformare l'Uno in Due. Eva è la sanzione dell'incompletezza mutata in evento miracoloso. Eva genera il segreto dell'Essere nel mistero della relazione e della inter-azione. L'incontro tra Adamo ed Eva è l'epifania della Creazione, la rivelazione di due volti, due identità che nel riconoscersi ed amarsi sanciscono l'uno il diritto dell'altro all'esistenza. “I volti di un uomo e di una donna non sono essenze statiche, ma mobili. Appaiono in temporanea sospensione nell'istante dell'incontro. In quello d'amore, in particolare. L'incontro d'amore ha un tono che definirei apocalittico; rivela lo straordinario avvento della faccia d'uomo o di donna, coi loro trucchi e verità, svelati nel rendez-vous dell'esistenza” (Nadia Fusini, I volti dell'amore, Mondadori Milano 2003) . L'uomo è Imago divina che, dunque, raggiunge l'apice della sua perfezione solo nell'istante in cui lo sguardo innocente dei due volti di Adamo ed Eva s'incontrano. Uno sguardo sancisce il diritto e il peccato dell'esistenza. Ma c'è una fondamentale differenza tra i due sguardi, una differenza intesa nei termini di una radicale ed ontologica diversità tra i due esseri femminile e maschile. L'uno scopre, l'altro ascolta, l'uno risveglia, l'altro attende. Eva da anello mancante diviene il motore mobile di una ri-voluzione nel perfetto e statico cosmo dell'Eden. “E Dio avrebbe preso l'uomo e deposto nel giardino dell'Eden, per lavorarlo e custodirlo. Poi il Signore Iddio comandò su Adamo dicendo: Di ogni albero del giardino mangiare potrai. Dell'albero della conoscenza del Bene e del Male non mangerai, giacchè nel giorno in cui ne mangerai di morte morirai”. ( Genesi 2, 15-17) “Non morireste affatto! Infatti il Signore sa che, nel giorno del vostro mangiare da esso, i vostri occhi si spalancherebbero e sareste come il Signore, conoscitori del Bene e del Male! Allora vide la donna che l'albero era buono, ne mangiò e ne diede anche al suo uomo, che era con lei e questi ne mangiò” (Genesi 2,24; 31-13). Sono questi i passi cruciali della Genesi, i passi che segnano la Caduta dell'uomo nello stato di Essere radicalmente storico e temporale. Quattro le parole feconde di colpa: conoscenza-morte-occhi-mangiò. Scrutando attentamente queste parole ci si accorge facilmente di come esse siano divise in due coppie di genere diverso. La coppia Conoscenza-Morte rimanda a qualcosa di astratto, la coppia Occhi- Mangiò denota qualcosa di concreto e sensibile. Eva Vede, desidera conoscere, freme, vibra la sua anima al solo pensiero di gustare il sapore e il sapere. Eva poggia le sue labbra sulla polpa carnosa del frutto proibito e ne offre al suo uomo. Adamo afferra e morde e con Eva e come Eva si trasforma. La meraviglia, lo stupore, la sensazione vibrante del desiderio, il morso della fame di conoscenza sancisce la metamorfosi dell'Essere immortale in perituro Essere Vivente. La vita si paga con la morte. Umano troppo Umano il tocco di Eva, il suo ingegno tradisce il disegno divino. “Antico dono di donna, il cibo,. E' anzi il primo gesto che la donna compie. Prima di parlare, e prima di generare e prima di morire. Il suo primo gesto è una mano che coglie, una bocca che assaggia, un braccio che porge insieme a due occhi che dicono: Prendi”( Elena Loewental, Eva e le altre, p.91, Bompiani Milano 2007). Eva è la rivoluzione del tempo. Eva è la pietra angolare del nuovo incipit del miracolo della vita, capace di mutare la colpa in giorni, attimi ed istanti, costruiti ad uno ad uno con spasimi, dolore, gioia, stupore. Eva è la chiave di volta della Creazione. E' Lei, non Adamo, a caricarsi la colpa, a squarciare il velo cristallino del perfetto Eden. Eva ascolta, Eva sceglie, prima paladina di una volontà libera e candida. La sua carne, prima immortale, porterà per sempre il dono del peccato, il frutto dell'ardore e della passione. Il suo grembo si squarcia, come quel velo, per mostrare il cibo proibito: la Vita. Paradosso divino, Eva è condannata a custodire in sé il segreto della mortalità e a generare attraverso di esso il mistero ed il miracolo dell'eternità del reale. Dal morso mortale Lei, solo Lei, Via Mirabile, genererà il soffio della vita. Labbra del peccato, le sue, saranno il nuovo Verbo di carne e sangue, labbra mortali, periture e madri dei nostri battiti, dei nostri occhi, delle nostre lacrime, dei nostri sorrisi. Eva madre del Presente.

mercoledì 19 giugno 2013

Il Caffè? Prendilo con filosofia

Amaro o dolce? Ristretto o generoso? Nero o macchiato? Quanti interrogativi intorno ad una sola tazzina di caffè! Molto più di una semplice bevanda, il caffè è un vero e proprio rito. In compagnia o in solitudine, esso racchiude in pochi sorsi il desiderio di fermare il tempo affannoso della quotidianità e prendersi cura di se stessi. Ecco perchè è inevitabile che la richiesta di una onirica tazzina di caffè sia seguita immediatamente da una serie di specifiche precisazioni, assolutamente personali e imperative, pena la profanazione di un rito così profondamente sociale e terapeutico. A ciascuno il suo caffè, dunque, perchè il berlo è uno dei gesti apparentemente più semplici del quotidiano, ma racchiude in realtà un nucleo denso del nostro sentire, del nostro essere hic et nunc, in un tempo e in uno spazio determinato. Quotidiano: cosa significa veramente questa parola? Usata ed abusata, come spesso accade alle nostre parole, essa ha perso il suo senso originario. Ci siamo talmente assuefatti ad usarla che nei nostri discorsi quotidiano indica tutto ciò che si ripete meccanicamente, quasi noiosamente. Dal quotidiano si evade, si fugge, quasi esso fosse davvero un circuito inevitabile intorno cui si avvolge il nostro tempo. Per tale ragione il tempo libero si trasforma in una sorta di corto circuito capace di rompere con la piatta ripetitività della routine . Immaginiamo per un istante di prendere la nostra tazzina tra le dita e di poter fermare questo nostro sorso quotidiano, tendendolo quasi all'infinito. Proviamo a trasformare questo rito in un gesto filosofico: fermiamoci a pensare. Cosa sentiamo veramente in questi brevi istanti sorseggianti? Il calore della tazzina sulla pelle, l'aroma intenso che penetra il nostro olfatto, il colore scuro del liquido che portiamo alla bocca. Solo questo? Cosa c'è davvero dentro ogni sorso? Pensiamoci bene. Nell'atto di avvicinare alle labbra il bollente aroma, il nostro sguardo sembra quasi sempre perdersi nel nulla, così come le nostre parole. Si ferma tutto. Cosa teniamo veramente stretto tra le dita? Tutto il nostro Io: questa è la risposta. Già, tutto il nostro Io racchiuso in un sorso. Che sia silenzioso e solitario, oppure salottiero e chiacchierato, un unico sorso distende, anche se per per pochi istanti, il tempo ed ecco sentiamo la nostra presenza. Percepiamo il nostro peso o la nostra leggerezza, la sostanza del nostro sorriso come del nostro dolore, la forza del ricordo e la fragilità del presente. Un sorso è un concetrato di identità ed è tutto racchiuso in un gesto quotidiano, di routine, abitudinario, come siamo soliti definirlo. Strano quanto un'azione divenuta quasi automatica, meccanica, ripetuta costantemente giorno dopo giorno, possa davvero custodire un nucleo così intenso della nostra presenza. Quotidiano: una parola gettata in pasto all'abitudine, fino a diventare essa stessa priva di senso, assuefatta al nostro essere famelici divoratori del tempo presente. Le parole sono come le note di uno strumento, se non c'è un'acustica adatta smettono di risuonare. Per ascoltarne il senso è necessario semplicemente fermarle. Quotidiano è una parola che definisce, attribuisce un significato ai gesti in riferimento ad un tempo determinato. Potremmo dire che quotidiano è in realtà ciò che accade ogni giorno, un gesto, una parola, un progetto, un'emozione. Il fare quotidiano autentico possiede in realtà un elemento di sacralità. Esso indica ciò che appartiene al tempo che ognuno di noi ha la possibilità di vivere. Quotidiano è dunque ciò che noi decidiamo che ciascun giorno sia, ciascuno degli attimi che respiriamo con la nostra presenza. Il tornare e il ripetersi del quotidiano è il ripresentarsi della possibilità di vivere ciò che abbiamo scelto. Perchè, pensiamoci bene, siamo noi stessi a plasmare la materia del tempo e a poter scegliere la sua forma.Con esso possiamo forgiare una gabbia dura e pesante, oppure una finestra luminosa, aperta su ogni possibile divenire. E voi come prendete il vostro caffè? Amaro o dolce? Ristretto o generoso? Volete anche un cucchiaino di pensante consapevolezza....lo gustate filosofico?



mercoledì 29 maggio 2013

L'osservatore filosofo


"Ecco il nostro osservatore filosofo pronto per muovere i primi passi nel territorio della glossa enologica: sguardo attento (altrimenti che osservatore sarebbe?), un buon naso (eredità del greco pensare) , un'intensa predisposizione a de-gustare (perchè si sappia, i filosofi sono assolutamente ferrati nell'arte conviviale dell'assaggio e non solo ideale!)."

giovedì 9 maggio 2013

DE-GUSTARE IL SENSO


L'esperienza della degustazione è il momento cardine del processo di conoscenza del vino. Esperienza complessa, essa coinvolge il soggetto che de-gusta nella sua interezza, lo impegna in un percorso che ha un ritmo prestabilito, tecniche ben precise, un linguaggio unico, un vero e proprio alfabeto di significazioni e rimandi che trasforma la degustazione in un'esperienza non solo estetica ma sinestetica. Degustare un vino è un atto che trascende il semplice bere. É un atto di percezione ragionata fondato su un'attenzione selettiva della sensorialità pensante. Vista, olfatto, gusto costituiscono potenziali recettori di proprietà racchiuse in sfumature di colore, stratificazione di aromi e strutturalità gustativa. Ogni senso possiede parole proprie al fine di significare l'essenza densa e feconda del vino, metafora della relazione di cura tra uomo e natura.

venerdì 15 marzo 2013

thekitchn.com

Continua il viaggio di Thinkerfood nel mondo virtuale del foodwriting.
Un percorso tra parole e lingue, tra sapori ed idee.
La meta di questo viaggio è la scoperta di un unico linguaggio:
quello del Gusto.
Il Gusto unisce, traccia linee di senso e non linee di confine.
Non esistono barriere nell'universo del thinkingfood.
L'approdo di questa nuova tappa è il blog 
http://www.thekitchn.com/categories/cooks_kitchen

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venerdì 1 marzo 2013

LA RETE DEL GUSTO


 Foto: Un lento risveglio é cura del corpo e della mente....buona domenica da Thinkerfood

L'Estetica del Gusto è un linguaggio privo di limiti e vincoli semantici. Un sistema di comunicazione globale. Uno strumento relazionale di immenso potenziale gnoseologico, linguistico, biologico e psicologico. Inizia il viaggio di Thinkerfood nella Rete del Gusto. "Tarlette" è un Blog dedicato alla fotografia del Food, uno spazio in cui l'Immagine gioca un ruolo primario nello stimolare un'articolata riflessione sul cibo e il suo valore nel quotidiano. http://www.tarteletteblog.com/2013/02/recipes-gluten-free-apple-walnut-cakes.html

lunedì 18 febbraio 2013

IL PIATTO COME MEDIUM

"Con Sèbastien, amiamo una cucina allegra, che dispensa stupore e gioia. Per questo i nostri piatti sono animati da una moltitudine di combinazioni che io definisco come niac. Strutture di elementi visivi e olfattivi, relativi al gusto e alla texture che risvegliano i sensi verso nuove scoperte. Il niac anima, dinamizza, tonifica, interroga provocando. Scivolati a margine rispetto al centro della presentazione dei piatti, io definisco questi termini quali tocco e traccia."
Michel Bras 


Le parole di Bras richiamano un concetto peculiare dell'estetica del gusto: la potenza visiva del cibo. Prima ancora che sulle labbra ogni cibo si posa sugli occhi e viene preso dallo sguardo e insieme ad esso dall'invisibile plasticità dell'olfatto. Il piatto è ciò che trasforma l'alimento in composizione di elementi, trama sottile di tratti che come ogni messaggio ha un mittente e un destinatario. Il piatto è il medium attraverso cui il cibo parla e ci svela la sua silente struttura. Qui l'intuizione geniale di Bras che crea un vocabolo per definire la sua personale estetica del gusto. Niac: una parola, un concetto creato per vedere il senso dell'arte del gusto in una composizione di tocchi e di tracce. I tocchi sono elementi fisici, segni che trasmettono un messaggio: la messa in piatto. Le tracce sono elementi di narrazzione che risvegliano ed interrogano il senso di chi sfiora l'immagine e gusta il sapore. Ma niac è soprattutto elemento conoscitivo capace di generare stupore e quindi domanda, fame di risposte. Tracce e tocchi sono media di comunicazione. L'arte del niac non è altro che gesto di relazione che provoca, risveglia e prende i sensi per trasportarli nel dialogo tra lo sguardo e la parola, nel senso più profondo del gusto.

sabato 2 febbraio 2013

IL CALICE DEL FILOSOFO

 

"Una cosa degna di nota  è questa specie di istinto, 
tanto universale quanto imperioso, 
che ci spinge alla ricerca delle bevande forti.  
Il vino, la bevanda a noi più cara risale agli albori del mondo. (...) 
Comunque sia, questa sete di un liquido
 che la natura aveva avvolto di veli, 
questa straordinaria bramosia 
che agisce su tutte le razze umane, 
sotto ogni clima e ogni temperatura, 
è veramente degna di attrare l'attenzione 
dell'osservatore filosofo.
 Anch'io, come tanti altri, ci ho riflettuto 
e sarei tentato di mettere la passione per il liquori fermentati,
 ignota agli animali, accanto all'ansia per l'avvenire, 
del pari ignota alle bestie, e di vedere l'una e l'altra 
come attributi distintivi del capolavoro 
dell'ultima rivoluzione sublunare"
                                                              Brillat-Savarin

lunedì 28 gennaio 2013

IL TRATTO DEL CORPO




"Ciò che costituisce il peso, lo spessore, la carne di ogni colore,
 di ogni suono, di ogni testura tattile, del presente e del mondo,
 è il fatto che colui che li coglie si sente emergere da essi
 grazie a una specie di avvolgimento o di raddoppiamento,
 fondamentalmente omogeneo a essi,  
il fatto che egli è il sensibile stesso veniente a sè,
 e che reciprocamente, il sensibile è ai suoi occhi
 come il suo duplicato o un'estensione della sua carne."
                                                                                                 Merleau Ponty, Il visibile e l'invisibile


Mente/corpo. 
Pensiero/gesto. 
Idea/sensazione
 
Queste tre opposizioni semantiche costituiscono il filo rosso intorno a cui è cresciuta e si è costruita la trama del rapporto tra pensiero e corporeità nell'ambito della cultura occidentale, a partire dalla filosofia greca fino ai nostri giorni. Per comprendere la portata reale di questa apparentemente insanabile dicotomia, è sufficiente osservare attentamente il modo in cui usiamo i due verbi pensare e trattare riferendoci con l'uno alla mente e con l'altro al corpo. Quale verbo usiamo per riferirci al nostro corpo? Tratto il corpo, siamo soliti affermare. Proviamo a tradurre questa espressione. C'è un soggetto implicito, un Io pensante che agisce su un qualcosa di esterno, il corpo e lo tratta, lo modifica in base a un'idea ad esso estranea ma a tal punto predominante da diventare essa stessa causa della sua esistenza. Basta pensare alla celebre massima cartesiana cogito ergo sum: l'uomo esiste perchè pensa. Il corpo non esiste, in questa ottica. Il corpo subisce l'esistenza. Quanto sia radicato in noi questo modo di  concepire la nostra corporeità è evidente se si pensa alle tragiche conseguenze che un'immaginare patologico può avere sul corpo. Ma è veramente così? Davvero ognuno di noi è un pensiero in un corpo qualunque? Cosa ci rende davvero unici? Essere ciò che pensiamo? Modellare il nostro corpo in base al nostro immaginare? E se invece le  cose stessero diversamente? Se invece fosse il corpo la presenza essenziale. Se fosse la nostra sensorialità quel sentire necessario senza il quale nessun pensare sarebbe in realtà possibile? In effetti tra l'azione del pensare e quella del trattare il corpo esiste un salto logico, manca un tassello fondamentale: il sentire.
L'uomo è il sensibile stesso veniente a sè 
e il sensibile è ai suoi occhi come il suo duplicato
 o un'estensione della sua carne.
 
Non abbiamo un corpo. Siamo un corpo.
Per destino il nostro corpo.  
Un corpo che per natura sente e nel sentire pensa.





mercoledì 23 gennaio 2013

IL CORPO FILOSOFICO

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ThinkerFood è un approccio filosofico alla sensorialità, un rivoluzionario sguardo sulla trama profonda che lega, in ciascuno di noi, l'essere e l'avere. Siamo infatti abituati, per cultura ed educazione, a non sentire il nostro pensiero o a non pensare il nostro percepire, se non nella distinzione tra un concreto e materiale toccare e un elevato e superbo teorizzare. Ma la realtà e per realtà intendo la nostra autentica maniera d'essere, è ben altra! Siamo un corpo pensante. Siamo immersi nella nervatura della nostra carne e della nostra pelle. Siamo intrisi di un percepire incessante che si dirama fino a farsi in noi pensiero e parola. La nostra identità è legata alla multi-sensorialità che ci rende esseri unici e irripetibili. Siamo dunque un corpo filosofico in cui impariamo la sapienza di degustare il reale in un gioco dialettico tra senso e pensiero. 

Il corpo umano é sicuramente un oggetto. Lo si può contemplare dall'esterno e tenerlo in tal modo a "distanza". È il corpo degli altri: un corpo in mezzo agli altri, ma che nondimeno non cessa di rinviare a una presenza diversa da quella degli altri oggetti materiali; un corpo che permette l'accesso a un'immagine, ad un simulacro ma che nel contempo rinvia all'essere stesso della persona che ci si ritrova dinanzi. Ma è anche il nostro corpo: un corpo immagine che possiamo contemplare in uno specchio; un corpo diviso, come quando guardiamo mani e piedi; un corpo che nondimeno cammina quando camminiamo e che soffre e gioisce quando soffriamo e quando gioiamo. (...) L'esperienza quotidiana scombina la distinzione tra soggetto ed oggetto perchè il corpo umano è assieme tanto un corpo soggetto quanto un corpo oggetto, il corpo che si ha e il corpo che si è. (...) Ognuno di noi è sia un corpo fisico proiettato nel mondo "di fuori" sia un corpo psichico che rimanda al "di dentro" dell'essere. L'essere umano è una persona incarnata: senza corpo non esisterebbe; tramite il corpo è legato alla materialità del mondo. Per questo l'esperienza del corpo è sempre duplice: intratteniamo con esso una relazione che è insieme strumentale e costitutiva. Il corpo celebra la vita e le sue possibilità ma proclama altresì la finitudine di ognuno. (...) Stazioniamo sempre in una zona di confine tra l'essere e l'avere. Noi siamo esattamente ciò che siamo, perchè siamo il corpo che possediamo.
 Michela Marzano, La filosofia del corpo

domenica 20 gennaio 2013

IL CALICE DEL BUFFONE- RICORDO DI UNA SERATA IN TOSCANA


Metti una sera di primavera in un borgo toscano. Metti un appetito consistente, una tipica osteria e un dolce rosso lucchese. Mentre stiamo per iniziare la nostra tanto attesa cena , sentiamo una voce accanto a noi: " Ciao ragazzi! Da dove venite? Oggi é il mio compleanno e noi si é un po' buffoni! Mica vi piacerebbe unirvi a noi?" Non abbiamo neppure il tempo di articolare un pensiero di senso compiuto che ci ritroviamo senza il nostro tavolo e con il calice ancora sulle labbra. Ormai la tavolata del buffone é cosa fatta! Cinque toscani, un americano trovato per caso e due salentini. Calici fluidi e colmi, inebrianti: un sicuro lasciapassare per un convivio semicomico di parole e sapori, un intreccio di storie e terre diverse. Non c'é voluto tanto a capire cosa significasse quella strana parola, buffone , che aveva cancellato ogni confine e ogni distanza tra otto perfetti sconosciuti: trattasi di uno spirito curioso, incline a prendersi molto poco sul serio, dotato di uno sguardo penetrante e malinconico. Che creatura strana il buffone ! Capace di parlare come un bischero doc tra parolacce e coloriti neologismi locali, e di trasformarsi un attimo dopo in un affascinante oratore. L'eloquio del buffone é trascinante e portatore sano di ebbrezza. É difficile astenersi dall' attingere al suo calice vermiglio, così dolce e così amaro nello stesso istante. E se accade di degustarne appena l'aroma e la materia, si diventa capaci di chiacchierare con profonda leggerezza di cibo, bischerate varie, del miracolo della paternità, del barocco leccese, di consulenza filosofica e della sera in cui si é visto Dio e poi lo si è perso per sempre. La notte é profonda e il calice ormai quasi vuoto. Il vermiglio fluido scorre intensamente sotto la pelle e ha penetrato la mente. Il suo potere metamorfico ha compiuto la sua opera. Metti una notte di primavera in un borgo toscano. Metti un dolce e un vermiglio calice di fluide parole. Due tavoli uniti per caso o per destino. Otto sconosciuti si allontanano e tornano ad interpretare la trama del loro racconto. Un americano, cinque toscani, due salentini. Otto curiose nuove creature, un po' attori e un po' buffoni.

venerdì 18 gennaio 2013

IL GUSTO TRA ETICA ED ESTESIA

"La gourmandise è un atto del nostro discernimento in virtù del quale preferiamo ciò che è gradevole al gusto a ciò che non lo è."
Fisiologia del gusto, Brillat-Savarin
 
Gusto dunque Sono: questa potrebbe essere un'interessante metamorfosi della massima cartesiana del cogito ergo sum. Metamorfosi provocatoria forse o magari una sua evoluzione. Dice bene Brillat- Savarin quando afferma che il gusto è legato al discernimento. Il Gusto è senso cognitivo del reale, è estensione necessaria del nostro essere un pensiero che abita un corpo, del nostro essere pensiero incarnato. Gusto dunque scelgo e scelgo perchè interpreto la realtà, la sento, la comprendo e infine la rappresento nel pensiero. Il viaggio nel Gusto è un viaggio tra estesia ed etica complesso e affascinante. Un viaggio tra il sentire e il percepire che si evolve nell'estetica del comunicare nel  teatro gastronomico della convivialità. Il gusto si trasforma infine in identità in gesto etico del rispetto di valori, codici e idee che rispecchiano un senso profondo, quello della realtà.
Gusto dunque sono. Il Gusto come scoperta della realtà e senso della possibilità. 

lunedì 14 gennaio 2013

COTTO E PENSATO: QUANDO LA LINGUA BATTE DOVE IL DENTE PENSA

Un filosofo che parla di cibo? 

La candida peferzione dell'iperuranio del pensiero filosofico può davvero mescolarsi all'attività materiale per eccelenza, ossia quella del del comune cibarsi, attività certamente umana ma così comune e così tanto sensoriale da apparire, agli occhi benpensanti e intellettualmente esperti, quasi come una terribile profanatrice delle razionali virtù?
Quanta volgare e istintiva voracità vedranno questi occhi nel diffuso e quasi dilagante interesse dei media cartacei e non per il mondo eno-gastronomico come se sotto la pelle, nel tatto, nell'olfatto,  nel gusto come nella vista non  potesse celarsi  davvero un silente pensare.   



Eppure è proprio nella storia dell'uomo
 che il nutrimento si trasforma in cibo,
la materia informe in opera di ingegno.

Il passaggio dal crudo al cotto è paragonabile alla trasformazione dei suoni in parole e delle parole in discorsi.  Il cuocere è atto filosofico tanto quanto il dialogare dialettico. Nel cuocere l'uomo trasforma l'informe molteplice in  una razionale unità e lo può fare perchè di esso intuisce il senso e il sapore ancor prima che esso sia visibile. E come ogni discorso e dialogo anche l'opera culinaria è un logos. Essa infatti è impresa sociale e conviviale. Il cotto è un pensato. Il cotto è la parola che condividiamo con i commensali che noi stessi scegliamo e ai quali mostriamo il nostro gusto, la nostra vera natura celata in ogni ingrediente e rivelata da ogni singolo aromatico accostamento. Il gustare non è altro che un pensare capace di sentire e un percepire capace di immaginare. 

Un filosofo che parla di cibo?
 
 Un folle la cui lingua batte dove il dente pensa.
BUON THINKINGFOOD


martedì 8 gennaio 2013

L'ESTETICA DEL GUSTO: IL MONDO DI THINKERFOOD

Nasce ThinkerFood. Uno spazio in cui il Cibo e Pensiero si intrecciano nell'universo del Gusto e dell'Estetica. Un viaggio in cui ogni sapore diventa pensante  e ogni parola si trasforma in un'esperienza sensoriale. Il termine estetica compare per la prima volta nel 1735, in Germania, in un trattato di poetica e retorica dal titolo Meditationes de nonnullis ad poema pertinentibus, per poi guadagnare la posizione privilegiata di titolo di una grossa opera filosofica, sistematica e programmatica anche se rimasta incompiuta, nel 1750: la Aesthetica. L’inventore del termine e autore delle due opere è Alexander Gottlieb Baumgarten, seguace di Wolff e della scuola filosofica leibniziana. Il sostantivo aesthetica viene coniato a partire dall’aggettivo femminile greco aisthetikè, che sottintende episteme: l’estetica è la “scienza della sensibilità”. Un’estetica del cibo rientra nelle “estetiche del quotidiano” e nelle estetiche pratiche, in una prospettiva che mina la gerarchia tra quotidiano ed eccezionale e tra pratica e teoria: attraverso il cibo è possibile dare concretezza a espressioni come “pratica teorica” o “pensiero incarnato”. Il gusto è un concetto strettamente legato a quello di estetica e a quello di cibo. Il gusto è il campo più analizzato e studiato dalla filosofia. La prefigurazione di una scienza chiara e confusa dell’oggetto alimentare gustato e assimilato si trova, come è noto, già nelle Meditazioni di Leibniz: «Noi conosciamo in modo sufficientemente chiaro colori, sapori, odori, e altri oggetti particolari dei sensi, e li distinguiamo gli uni dagli altri, ma per la semplice testimonianza dei sensi» . Il gusto del cibo come convivio non è solo segno di coesione sociale e identitaria ma anche luogo di negoziazione e contrattazione dell’identità stessa. Il linguaggio del gusto contempla la possibilità di sostituzioni, incorporazioni e contaminazioni che travalicano barriere e confini altrimenti istituiti. Dialogare sull'estetica del gusto e del cibo significa indagare attraverso le parole e il linguaggio quanto profondo sia il legame tra il pensiero e il corpo, tra la mente e i sensi. Nel dialogo l'estetica diventa esercizio filosofico, una pratica del gusto capace di aprire scorci di significato nuovi e inaspettati sulla sensorialità come strumento fondamentale di conoscenza e socializzazione.